Amori violenti. Perché non l’hai lasciato? Ci sono (anche) ragioni scientifiche – Psicologa Roma Acilia Ostia – Psicoterapeuta Infernetto Casal Palocco – Online
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Amori violenti. Perché non l’hai lasciato? Ci sono (anche) ragioni scientifiche

La violenza nella coppia: come nasce e perché è così difficile andarsene.

Una speranza, a volte, indebolisce la coscienza come un vizio.

E. Morante

La coppia che, pur nelle mille difficoltà che la vita insieme comporta, dovrebbe essere il luogo dell’amore e del rispetto reciproco, può purtroppo rivelarsi un cupo teatro di paure, umiliazioni e insicurezze.

Se tra partner sono comuni dissapori, litigi, contrapposizioni anche accese, quando le tensioni ed i malesseri degenerano in violenza, la relazione di coppia si trasforma in un incubo e una prigione, talvolta con conseguenze fatali.

In una coppia “sana” si esprimono le diverse posizioni e si affrontano i contrasti senza tentare di annientare l’altro, mentre nella violenza salta il piano della relazione: il problema si risolve distruggendo l’altro, in quanto portatore di un punto di vista diverso e di una criticità.

In questo articolo, per praticità, mi riferirò alla violenza maschile, perché statisticamente più frequente e “radicata” nella cultura e nell’organizzazione della nostra società. Naturalmente, può avvenire anche il contrario, cioè la sopraffazione può essere agita da una donna verso un uomo, oppure in coppie omosessuali.

Sfatiamo alcuni miti

La violenza non c’entra nulla con la conflittualità della coppia, come erroneamente si potrebbe pensare, ma è al contrario la spia di una grave incapacità, di uno o entrambi i partner, di sostenere il conflitto, di tollerare la frustrazione della mancanza d’allineamento con l’altro, di regolare l’aggressività, mantenendola all’interno di una cornice di affetto e rispetto reciproco.

Mentre il conflitto serve a gestire le emozioni, la violenza brutalmente le traduce in azioni contro l’altro, che è danneggiato intenzionalmente e ripetutamente, sul piano psicologico, esistenziale o fisico.

La violenza nella coppia non è occasionale: è ripetitiva e dura nel tempo, anche se può manifestarsi in forme diverse, talvolta molto sottili. Un partner violento continuerò in qualche modo ad esserlo sempre, a meno che non si impegni in un lungo e impegnativo percorso terapeutico.

La violenza non è causata o scatenata da nulla, se non dalla personalità del violento. Non ci sono scuse: stress, problemi a lavoro, comportamenti più o meno provocatori del partner. La domanda “e tu cosa gli avevi fatto?”, non ha ragione di esistere, né moralmente, né legalmente, né scientificamente parlando.

La violenza nella coppia è prevalentemente invisibile, agita lontano da occhi indiscreti e possibilmente senza lasciare tracce, che eventualmente vengono nascoste dalla vittima stessa. Spesso amici, parenti, colleghi, persino vicini di casa cadono dalle nuvole.

La violenza non è solo percosse, minacce, ingiurie. È innanzitutto sopraffazione dell’altro, volontà di dominio, fino all’annientamento.

Non esistono raptus: la violenza è una precisa strategia di relazione, che il violento utilizza per dominare il partner, probabilmente perché è l’unica modalità relazionale che conosce e da cui trae soddisfazione.

Nell’atto violento, la soggettività dell’altro, il suo valore come persona libera ed autonoma, vengono negati. Il violento usa il partner come un oggetto, un “secchio della spazzatura”, dove gettare tutte le proprie emozioni intollerabili che non è capace di gestire.

Tutte le forme di violenza sono gravi

Tutte le forme di violenza sono “uguali”, nel senso che sono espressione, seppur con intensità diversa, della stessa volontà di sopraffazione e annientamento, della stessa incapacità di entrare in una relazione paritaria, in cui l’altro sia considerato e trattato come altro da sé, con pari dignità, piuttosto che come un prolungamento di se stessi da dominare e controllare.

Per questo, nessuna manifestazione di violenza è “meno grave” o più tollerabile delle altre, anzi si muovono tutte sullo stessa traiettoria, che generalmente porta ad una escalation, perché il bisogno di dominio sull’altro non potrà mai essere placato. Il partner, per quanto accondiscendente, sarà sempre “altro” da noi, sarà sempre irrimediabilmente “fuori controllo”.

Ma vediamo le principali forme di violenza:

Violenza psicologica: rimproveri e critiche continue, umiliazioni, intimidazioni, silenzi ostili, insulti; scenate di gelosia, controllo ossessivo; isolamento, allontanamento dagli altri con mezzi più o meno diretti; manipolazione, condizionamento, imposizioni di credenze, valori o stili di vita; limitazioni della libertà personale; minacce di abusi o abbandono se non si soddisfano determinate richieste; danneggiamento o distruzione di oggetti di proprietà della vittima; violenze sui figli o animali a lei cari.

Mentre nei momenti di rabbia tutti possiamo usare parole dure e offensive o agire comportamenti fuori luogo, di cui poi ci pentiamo, la violenza psicologica è costante e intenzionale ed ha l’obiettivo di sottomettere l’altro e mantenere un senso di potere e controllo.

Violenza fisica: qualsiasi atto volto a fare male e terrorizzare la vittima, quale lancio di oggetti, spinte, schiaffi, morsi, calci o pugni, aggressioni con oggetti, percosse, soffocamento, uso di armi per minacciare o aggredire.

Violenza sessuale: imposizione di pratiche sessuali indesiderate, con minacce di varia natura, o di rapporti che facciano male fisicamente e siano lesivi della dignità della partner, come atti estremi di sopraffazione e umiliazione.

Violenza economica: limitare o negare l’accesso alle finanze familiari, occultare la situazione patrimoniale della famiglia; vietare, ostacolare o boicottare il lavoro fuori casa della vittima; sfruttarla come forza lavoro nell’azienda familiare senza un’adeguata retribuzione; appropriarsi dei risparmi e dei guadagni della vittima usandoli a proprio vantaggio; non adempiere ai doveri di mantenimento stabiliti dalla legge; attuare ogni forma di tutela giuridica a vantaggio personale e a discapito della vittima.

Chi sono i partner violenti?

Alcune ricerche mostrano come i partner violenti siano generalmente insicuri, dipendenti, abbiano problemi di fiducia, siano ipersensibili alle offese ed ai rifiuti, leggendone anche dove non ce ne sono, e manifestino forte gelosia.

Di fronte alla minaccia dell’abbandono, reale o spesso immaginata, di fronte a un vissuto di “ingiustizia” subita, reagiscono con rabbia e violenza. Spesso le violenze si intensificano proprio quando la partner manifesta un tentativo di autonomia, che l’abusante percepisce come un allontanamento e un grave affronto.

La sottomissione della partner viene perseguita attraverso atti che mirano a farla sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui.

I violenti sono incapaci di rappresentarsi mentalmente gli stati emotivi legati alla propria vulnerabilità e alla paura della perdita, non sopportano le emozioni “sgradevoli” e non sanno gestirle autonomamente, ma le espellono fuori tramite i comportamenti controllanti e le violenze, che li aiutano a riacquistare un senso di potere e controllo.

Spesso sono caratterizzati da una grave carenza d’empatia, cioè di capacità di mettersi nei panni dell’altro, in particolare nei momenti in cui sono sovrastati dalla rabbia, e questo permette loro di agire crudelmente.

All’esterno possono apparire estremamente adattati, anche gentili, perfetti amici, colleghi d’ufficio, “padri di famiglia”. Soprattutto quelli con un livello culturale e sociale medio-alto sanno bene come “camuffarsi” ed appaiono al di sopra di ogni sospetto.

La spirale della violenza: sulle montagne russe

La violenza nelle relazioni intime tende ad assumere un andamento ciclico, le cui fasi possono presentarsi in un crescendo, per poi mescolarsi:

  • Crescita della tensione: assistiamo a nervosismo, scontrosità, litigi per questioni futili. Il maltrattante manifesta ostilità, rabbia, bisogno di controllo, gelosia. La vittima ha paura, può tentare di prevenire l’escalation di violenza sottomettendosi alle sue richieste, cercando il più possibile di calmare le acque.
  • Maltrattamento: esplode la violenza, con insulti, minacce, distruzione di oggetti e vere e proprie aggressioni. La violenza fisica generalmente è graduale: prima spintoni, schiaffi, poi pugni e calci, fino all’uso di oggetti contundenti/armi o violenza sessuale. Attraverso gli abusi, il violento riacquista il potere che sentiva di aver perso.
  • Riconciliazione e calma: il maltrattante si scusa, si mostra dolce e premuroso, fa regali e si prodiga in mille promesse di cambiamento. Non sempre avviene questa “luna di miele”, ma comunque c’è una fase di tregua e riavvicinamento.

Assistiamo, dunque, a un alternarsi di comportamenti ostili e violenti e, all’opposto, di cura ed affettività, che generano nella vittima un cortocircuito tra amore e odio, paura e speranza. Per preservare il legame, spera che le cose possano cambiare, impegnandosi lei stessa per migliorare la situazione, spesso rinunciando alla propria libertà e accettando di vivere in una relazione non alla pari. Può colpevolizzarsi per i comportamenti del partner violento, pensando di non essere stata abbastanza gentile, attenta, brava, intelligente, o giustificarlo con mille scuse.

Il violento usa la manipolazione per farsi perdonare, scarica le responsabilità, attribuendo le sue sue azioni a cause esterne (stress, difficoltà a lavoro, problemi economici) ed alla partner che lo avrebbe provocato con i suoi atteggiamenti. Si mostra disperato all’idea di una separazione, può minacciare il suicidio.

La cosa veramente difficile da sostenere , dal punto di vista psicologico, è la commistione di odio e amore: la persona che ci fa del male è la stessa di cui siamo innamorate, che ci consola quando siamo tristi, che ci abbraccia se ne abbiamo bisogno, con cui abbiamo un progetto di vita in comune. Di fronte all’enormità di questa contraddizione, la mente va in tilt e si attivano una serie di strategie difensive estreme: negare, sminuire, banalizzare, giustificare, servono proprio a non dover affrontare questo orrore, questa lacerazione.

Spesso queste montagne russe emotive creano nella vittima un senso di dipendenza, come da una droga: paradossalmente si sente “viva” in questo su e giù, mentre immaginare il dolore del distacco, la depressione, il vuoto nel ritrovarsi sola con se stessa è per lei insostenibile. Come un criceto, continua a girare sulla ruota, aspettando disperatamente il momento della gratificazione, della coccola, del gesto d’affetto, sfamandosi anche con le briciole.

Perché non l’hai lasciato?

Però poteva lasciarlo…perché ci è rimasta insieme?” Spesso ci facciamo questa domanda, quando sentiamo storie terribili di ordinaria violenza. Non capiamo perché la vittima non se ne sia andata, non abbia difeso almeno i figli, sia rimasta in balia del partner violento così a lungo. “Saranno vere quelle violenze?” In qualsiasi relazione, anche in una violenta, si è pur sempre in due. “Lei che ruolo aveva?

Ci sono diverse ragioni per cui è molto difficile interrompere una relazione violenta. Alcune sono di ordine culturale, sociale e pratico-economico. Mi concentrerò qui su quelle psicologiche, chiedendo aiuto alla ricerca scientifica, che su questo si è espressa chiaramente.

La relazione di coppia nasce dall’innamoramento: una fase di sconvolgimento emotivo in cui si riattivano tutti i bisogni nascosti, i desideri inespressi, le emozioni infantili, insomma gli strati più profondi della personalità. Il partner viene inizialmente idealizzato e vissuto come “risposta” alle nostre esigenze emotive primarie. I suoi difetti, i lati del carattere che non ci convincono, vengono messi in secondo piano, a favore della saldatura di un legame che inizialmente tende alla fusione: abbiamo bisogno dell’altro, il desiderio di lui ci fa impazzire, siamo completamente coinvolti, messi a nudo.

L’innamoramento, a livello biologico, attiva il sistema dell’attaccamento, lo stesso che lega il bambino piccolo alla mamma, per lui fonte di di sopravvivenza. Siamo fatti in modo che, di fronte alla paura e al pericolo, il sistema dell’attaccamento si attivi automaticamente, portandoci a cercare la vicinanza della figura genitoriale. Questo retaggio sopravvive in età adulta nella relazione di coppia.

I problemi nascono quando la figura d’attaccamento, come il genitore o il partner, è essa stessa la fonte del pericolo: il sistema d’attaccamento va in cortocircuito e la persona può vivere l’esperienza paradossale di essere portata a ricercare la vicinanza e la consolazione proprio dal suo aguzzino. La forza dei legami non è legata alla loro qualità, anzi il senso di minaccia e la paura iperattiva il sistema d’attaccamento e porta la vittima ad essere sempre più invischiata nel legame con l’abusante.

Se nel passato della vittima ci sono relazioni sicure e positive, sarà più facile che percepisca il senso di insicurezza e minaccia generato dalla relazione attuale e che riesca perlomeno a valutare realisticamente le dinamiche violente. Ma se l’insicurezza e la minaccia sono state il pane quotidiano nelle sue relazioni infantili, nelle quali ha sviluppato un’intensa paura dell’abbandono, l’abitudine ad essere in balia dell’altro e la percezione di non meritare amore e conforto, essa si sentirà debole, bisognosa, confusa e sarà portata a giustificare il maltrattante e prendersi la colpa per i suoi comportamenti.

Mai sottovalutare le violenze

Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

A. Einstein

Il gesto estremo, l’omicidio, in realtà non è che l’ultimo anello di un percorso di negazione della realtà dell’altro che inizia dallo schiaffo, dalle parole usate come armi, dal controllo continuo e asfissiante, dall’esigenza di fusione, che non lascia spazio alla libertà e all’autonomia del partner.

In molte relazioni violente, la prima trappola a scattare è l’isolamento: la persona si allontana sempre più da amici e familiari, vive in simbiosi con l’abusante, assecondando forse una propria esigenza di vicinanza ed esclusività, sempre più indotta a giudicare negativamente l’esterno, “gli altri che non capiscono”, mentre solo all’interno della coppia sembra esserci tutto il bello e il giusto.

Nessuno sarà testimone dei comportamenti violenti, né raccoglierà le confidenze della vittima, che tenderà, almeno inizialmente, a proteggere l’aguzzino, a giustificarlo, sforzandosi di migliorare il rapporto, di non mandarlo più “fuori dai gangheri”.

Seppur si possa non arrivare mai a situazioni estreme, come gravi lesioni fisiche, l’annientamento da parte del maltrattante è continuo e costante. La vittima perde progressivamente fiducia in se stessa, si sente sempre più debole, sul piano psicologico e pratico, fino a convincersi di non poter fare a meno del partner violento, cosa che non è assolutamente vera.

C’è il modo per riprendersi la propria vita, servono solo gli strumenti giusti, che per ognuno sono diversi, e vanno messi a punto. C’è chi può aiutarci: uno psicoterapeuta esperto, un bravo avvocato, le forze dell’ordine, o un centro antiviolenza dove poter trovare tutte le informazioni, i contatti e il sostegno possibile.

È molto importante rivolgersi a figure professionali specializzate in materia, perché sono troppi ancora gli stereotipi e i luoghi comuni sulla violenza nella coppia e perché ci può essere bisogno di attivare in maniera congrua e coordinata più tipologie di interventi.

Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.

Bibliografia

Baldassarre M. (2015), Amori violenti. Cosa significa amare, Alpes, Roma.

Vellotti P. (a cura di), Legami che fanno soffrire. Dinamica e trattamento delle relazioni di coppia violente, Il Mulino, Bologna, 2012.

D.i.Re- Donne in Rete contro la violenza, www.direcontrolaviolenza.it

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